IL NUOVO WELFARE AZIENDALE

Scritto da Matteo Atzori.

08 01Dei tantissimi temi affrontati durante l'ultima edizione del Festival del Lavoro 2016, tenutosi a Roma dal 30 giugno al 2 luglio, questo è stato sicuramente uno tra i più attuali.
Tenutosi all'interno dei "LABORATORI DI LAVORO", veri e propri momenti di confronto operativo, grazie anche alla preziosa collaborazione del relatore Enzo Summa, esperto della Fondazione Studi, l'argomento da subito ha destato l'interesse e la partecipazione dei colleghi presenti.
Sapere, saper fare e saper far fare, questo il tema trainante dei laboratori di lavoro, che ha permesso al relatore di entrare subito nel vivo dell'argomento dando già una prima definizione: trovare forme di flessibilità mantenendo inalterati i diritti dei lavoratori.
In quest'ottica possiamo inquadrare il nuovo welfare aziendale collocandolo e affiancandolo a strumenti di flessibilità già noti quali la contrattazione aziendale e quella di prossimità.
Rimandando ad altra sede l'analisi dettagliata dell'articolo 1 commi 182-190 delle Legge del 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016) e della circolare 28/E del 15 giugno 2016, sul nuovo welfare aziendale, possiamo però affermare, in questa sede, ai fini della presente analisi, la portata innovativa contenuta nel rinnovellato articolo 51 del TUIR.
In base alla nuova formulazione della lettera f) dell'articolo 51 del TUIR, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente "l'utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 100".
Si ricorda che l'art. 100, comma 1 prevede che "le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultanti dalla dichiarazione dei redditi".
La modifica innova rispetto alla precedente formulazione in quanto esclude dal reddito di lavoro dipendente le opere e i servizi di cui al comma 1 dell'articolo 100, anche nelle ipotesi in cui siano riconosciuti sulla base di contratti, accordi o regolamenti aziendali e non solo quando siano volontariamente erogati dal datore di lavoro, uniformandone per tale aspetto la disciplina a quella prevista dalle successive lettere f-bis) ed f-ter).
La modifica non è di poco conto in quanto viene operato solo un rinvio alle "finalità dell'art. 100" e, conseguentemente, ai fini dell'operatività dell'esenzione, non è più richiesto che le spese in oggetto siano sostenute volontariamente dal datore di lavoro.
L'erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l'adempimento di un obbligo negoziale determina la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 95 del TUIR, e non nel solo limite del cinque per mille, secondo quanto previsto dall'articolo 100 del medesimo testo unico. Tale limite di deducibilità continua ad operare, invece, in relazione alle ipotesi in cui le opere ed i servizi siano offerti volontariamente dal datore di lavoro.
Fatta questa doverosa parentesi normativa, necessaria per meglio inquadrare il fenomeno giuridico, nel pieno spirito operativo dell'incontro si passa ad una esemplificazione pratica; si suppone di dover erogare un premio di 2500 euro lordi ai singoli dipendenti.
Si scarta subito l'ipotesi della detassazione in quanto oltre a non rappresentare un elemento di vantaggio per il datore di lavoro (lascia invariato il costo del lavoro) rappresentata anche uno svantaggio per il dipendente in quanto si vedrà decurtato il premio sia del contributo previdenziale a proprio carico sia dell'imposta sostitutiva all'IRPEF.
Si decide, quindi, di utilizzare gli elementi di welfare messi a disposizione dalla nuova normativa procedendo pertanto alla redazione e sottoscrizione di un contratto aziendale sottoscritto anche, conformemente a quanto previsto dalla disciplina, dai sindacati maggiormente rappresentativi o da quelli presenti in azienda.
Occorre, a questo punto, dare una risposta alle seguenti domande: si ma welfare che cosa? Cosa diamo davvero ai dipendenti? Come procediamo?
Dobbiamo creare un welfare planning ovvero creare un paniere di beni, intervistando i dipendenti, capendo quali possono essere le loro esigenze di spesa personale e/o familiare, dobbiamo cercare l'individuazione di uno o più beni o servizi che siano più congeniali al soddisfacimento dei bisogni.
Qui la scelta può essere davvero ampia, dall'abbonamento alla ludoteca o campi estivi per i bimbi, ad un buon viaggio, oppure un piano di assistenza sanitaria aggiuntivo, passando anche per un abbonamento per eventi sportivi o ricreativi. La scelta è davvero ampia.
Le modalità di erogazione prevedono dunque l'acquisto del bene o del servizio da parte del datore di lavoro e la consegna al dipendente di un voucher con la descrizione del servizio. Non deve essere riportato il valore economico.

Al termine dell'incontro abbiamo avuto il piacere di scambiare due battute con il collega Enzo Summa che gentilmente ci ha rilasciato una breve intervista.

D: Ciao Enzo e complimenti per il tuo intervento. La prima domanda è: pensi che il welfare aziendale sia un'opportunità reale per le aziende o sia per così dire una "moda del momento"?
R: Sono certo che il welfare aziendale sia una opportunità ma non solo per le aziende, anche per noi Consulenti del Lavoro. L'applicazione di un corretto piano di welfare aziendale passa, inevitabilmente, dalla nostra professionalità sia nell'individuare le esigenze aziendali sia nell'evidenziargli una forma di flessibilità sulle retribuzioni dei dipendenti. Giustamente mi chiedevi se fosse una moda. Forse l'impressione che sia una moda deriva dal nome, "welfare" appunto, ma se ci pensiamo il welfare non è altro che un sistema di retribuzione non soggetto a tassazione previsto dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi di trent'anni fa. Chiaramente in questi ultimi anni si è molto evoluto e, forse, oggi anche le parti sociali sono pronte per recepirlo e sostenere le aziende in questa nuova forma di retribuzione basata, di fatto, sul sostenimento di spese a favore dei dipendenti a fronte di concessione di redditi. Il tutto, chiaramente, con la convenienza della tassazione a costo zero.

D: Pensi che il costituendo smart working, o lavoro agile, si possa coniugare con il welfare aziendale o le due cose sono a sé stanti?
R: E' assolutamente coniugabile. Considerato che lo smart working, alla fine, consiste nel rendere flessibile ed autonoma la prestazione lavorativa in virtù di un sensibile miglioramento sui risultati, la corresponsione di emolumenti in servizi di welfare coniuga il risparmio alla rimodulazione della prestazione lavorativa. Sono concetti che, in questo particolare momento, sono molto in voga e la stampa specializzata ha iniziato a comprenderli. Io, con altri colleghi, lavoriamo sul welfare e sui contratti aziendali da tempo, e ti assicuro che le aziende hanno necessità di essere informate. E da chi, se non da noi Consulenti del Lavoro?
La nostra professione è cambiata e cambia giorno dopo giorno. Noi dobbiamo farci trovare pronti e dobbiamo saper coniugare ogni novità, che sia un incentivo o una forma di flessibilità indiretta, affinché l'azienda possa essere competitiva sul proprio mercato.

D: In base anche alla tua esperienza quotidiana, percepisci nelle aziende un interesse per il fenomeno welfare, e se sì, quanto il ruolo del CdL sia importane per il suo sviluppo?
R: Io percepisco una necessità di maggiore flessibilità di costi, visto che ormai sul costo del lavoro gli incentivi sono esigui e bisogna trovare altre modalità affinché l'azienda possa ancora sostenere il costo di un lavoratore dipendente. Che poi questo si attui con il welfare, con lo smart working, con, soprattutto, il contratto aziendale o di prossimità, alle aziende interessa poco anche perché, per un buon 90%, prima che gli spiegassi di cosa stavo parlando non ne avevano mai sentito parlare.

Se poi vogliamo ampliare il discorso, le aziende oggi percepiscono un interesse per un professionista preparato e che li assista in questo momento delicato per l'economia. A tal proposito, quindi, è importante tra colleghi creare delle vere e proprie partnership di professionalità. Non bisogna essere per forza tuttologi e pensare di saper fare tutto, basta collaborare ognuno per le proprie competenze e specializzazioni ed allo stesso tempo essere percepito dall'azienda come un professionista che sta attento alle esigenze aziendali e non come mero elaboratore di documentazione.
Grazie mille Enzo per la tua disponibilità e ...buon Festival!

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