SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 23793/2015 DEL 20/11/2015: LA RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO SULLA SALUTE DEI DIPENDENTI IN CASO DI RAPINA

Scritto da Matteo Bodei.

06 01L'articolo 2087 del codice civile stabilisce che "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Ne consegue che ciascun datore di lavoro, in qualità di garante dell'incolumità fisica e morale dei propri collaboratori, debba adottare provvedimenti specifici e mirati a protezione dei dipendenti adibiti a mansioni particolarmente rischiose, tipiche ad esempio di chi maneggia quotidianamente denaro o beni preziosi.

Con la recente sentenza n. 23793 del 20 novembre 2015, la Corte di Cassazione è tornata a trattare il tema, purtroppo sempre attuale, del risarcimento del danno non patrimoniale patito dal lavoratore a seguito di una rapina, cogliendo l'occasione per ribadire l'onere in capo all'imprenditore di attuare le necessarie azioni preventive e dissuasive.

Il fatto:
la sig.ra B.C., dipendente delle Poste Italiane, vince in primo grado la causa contro la società datrice di lavoro ottenendo la condanna al risarcimento dei danni patiti in occasione di una rapina avvenuta in un ufficio postale di Cerreto di Spoleto (PG).
In appello la condanna viene confermata, ma ridotta negli importi, ritenendo che il risarcimento per danno biologico sia inclusivo degli altri danni non patrimoniali, quali ad esempio i danni morali.
La lavoratrice ricorre quindi in Cassazione, Poste Italiane resiste con controricorso proponendo a sua volta ricorso principale.
La ricorrente lamenta una violazione degli artt. 2087, 2043 e 2059 c.c in relazione all'art. 185 c.p. ed un vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza di appello esclude la risarcibilità del danno morale sul presupposto che si debba riconoscere solo in via extracontrattuale ed in presenza di reato.

La Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 23793/2015, pur respingendo il ricorso della dipendente, stabilisce la risarcibilità del danno morale in via autonoma (distinta da quella del danno biologico) ma solo nel caso di lesioni di grave entità.
Pur condividendo quanto stabilito nella sentenza della Corte di Cassazione S.U. n. 26972/08 del 11 novembre 2008, ossia che il danno morale non debba costituire una fattispecie autonoma ritenendolo incluso nel c.d. danno biologico, la Corte tuttavia ritiene che si possa riconoscere tale danno in via autonoma qualora venga leso in modo grave un diritto costituzionalmente garantito, quale ad esempio il diritto alla salute (art. 32 Cost.).
Il mancato accoglimento del ricorso avanzato dalla dipendente, quindi, è semplicemente giustificato dall'esiguità del danno patito, consistente di fatto in lesioni "micro-permanenti" (comportanti una inabilità permanente del 5%).

Oltre il suddetto princìpio di grande interesse, la sentenza è stata anche l'occasione per esprimere importanti ammonizioni circa gli obblighi del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti adibiti a mansioni esposte al rischio di rapina.

Nella sentenza, infatti, la Corte di Cassazione ricorda che:
"l'art. 2087 c.c. rende necessario l'apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell'integrità fisiopsichica dei lavoratori nei confronti dell'attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale."
Omissis..
"Ciò premesso, va ribadito che è dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa di riferimento o comunque esigibili secondo la tecnologia del momento, il che non significa che tali mezzi debbano essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi siano idonei, secondo criteri di comune esperienza, a svolgere una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva".

La Corte Suprema, quindi, pur riconoscendo l'impossibilità di scongiurare il compiersi di episodi criminosi, ritiene che ogni datore di lavoro, qualora la mansione svolta dai dipendenti comporti la movimentazione di somme di denaro anche contenute, sia tenuto ad dotarsi di strumenti atti a dissuadere i malviventi e proteggere i lavoratori da eventuali tentativi di rapina.
Ogni azienda interessata deve pertanto provvedere a formare i propri lavoratori anche in considerazione del rischio esposto, disporre elementi fisici a protezione dei dipendenti in caso di aggressione (vetri antisfondamento, sistemi di allarme, etc..) e dotarsi di un adeguato servizio di vigilanza privata che, con la propria presenza sul posto di lavoro, funga da deterrente.
Si evidenzia infine come la presenza di un sistema di videosorveglianza non sia riconosciuta dalla Corte quale valido strumento dissuasivo, poiché utile soprattutto al riconoscimento di eventuali responsabili dopo che i fatti criminosi sono già avvenuti (Corte di Cassazione, sent. 7405 del 13/04/2015).

postit 160

Post-it