LIBERTÀ IMPRENDITORIALE E LICENZIAMENTO PER GMO: LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE

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La Corte di Cassazione con sentenza numero 25615 del 14 novembre 2013 stabilisce che tra le motivazioni a sostegno del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è ravvisabile anche il riassetto organizzativo supportato da esigenze economiche. Le scelte imprenditoriali che conducono alla decisione non sono contestabili dal giudice perché ciò comporterebbe una restrizione dell'espressione della libera iniziativa economica, così come tutelata dall'articolo 42 della Costituzione. Le decisioni datoriali non sono sindacabili a meno che non risulti l'infondatezza e l'inesistenza delle suddette motivazioni.

Legge 604/1966 Articolo 3

Il   licenziamento   per   giustificato  motivo  con  preavviso  è determinato  da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del  prestatore  di  lavoro  ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

09 01Analizziamo i fatti precedenti che conducono al ricorso per Cassazione.
La società presso cui la lavoratrice era impiegata ha posto in essere una procedura di trasferimento della totalità delle attività dalla sede di Aprilia a quella di Peschiera Borromeo, disponendo, conseguentemente, anche il trasferimento della lavoratrice in questione.
La stessa, essendo titolare del diritto di fruire dei permessi ex articolo 33 Legge 104/92 per l'assistenza ad un familiare portatore di handicap e ritenendo di essere vittima di provvedimenti discriminatori posti in essere in violazione dei succitati diritti per l'assistenza al familiare portatore di handicap, rifiuta il trasferimento.
La società si vede costretta ad intimare alla lavoratrice il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Quest'ultima propone ricorso presso il Tribunale di Latina con cui reclama la dichiarazione di nullità ed il conseguente annullamento del licenziamento impugnato e richiede la prosecuzione del distacco nella sede di Aprilia presso una delle società consociate. A seguito del rigetto del ricorso da parte del giudice del lavoro, viene posposto ricorso presso la Corte d'appello di Roma la quale, a seguito dell'istruttoria, rigetta anch'essa il gravame proposto dalla lavoratrice.
Segue il ricorso della lavoratrice per Cassazione, fondato su otto motivi.
In primo luogo la lavoratrice deduce che le esigenze poste a fondamento della riorganizzazione aziendale siano da collegarsi esclusivamente alla realizzazione di un maggior guadagno piuttosto che incentrate sulla necessità di fronteggiare una situazione economica negativa.
La Cassazione rileva che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sorretto da ragioni riconducibili all'attività produttiva, la decisione è rimessa all'esclusiva valutazione del datore di lavoro. Il giudice non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa - peraltro tutelati dall'articolo 42 della Costituzione - ma solamente verificare l'effettiva sussistenza delle motivazioni esposte dall'imprenditore.
Altro motivo su cui si fonda il ricorso risiede nelle prospettata violazione dell'articolo 3 Legge 604/66 in combinato disposto con l'articolo 2697 c.c.: la ricorrente ritiene che il datore di lavoro, sempre con riferimento alle motivazioni oggetto del trasferimento, abbia proceduto ad una mera descrizione delle ragioni organizzative che avevano portato all'adozione del licenziamento, senza supportarle con prove documentali o testimoniali e senza dimostrare l'effettiva impossibilità di ricollocazione della lavoratrice. Inoltre, viene addotto il mancato controllo, da parte della Corte territoriale, circa l'effettiva sussistenza delle motivazioni presentate dall'imprenditore.
I giudici di Cassazione sottolineano come, nel ricorso proposto dalla lavoratrice presso la Corte territoriale, non vi sia contestazione alcuna circa il processo di riorganizzazione da cui è scaturito il trasferimento della dipendente. La Corte d'appello, come peraltro già il giudice di primo grado, in seguito all'analisi delle prove fornite dalla controricorrente confermano l'effettiva impossibilità di ricollocamento della dipendente presso altra sede, posto che l'intero complesso delle attività aziendali è stato trasferito.
Proseguendo nell'analisi del ricorso, la lavoratrice lamenta che, in violazione di quanto previsto dall'articolo 33 Legge 104/92 in combinato disposto con l'articolo 2697 c.c., non sono stati provati fatti o circostanze impeditive all'esercizio del diritto riconosciuto alla lavoratrice dalla norma citata ed al suo possibile reimpiego presso altra società del gruppo con sede in Aprilia - circostanza che, secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazione in sede di esame.
Sempre in relazione alla possibilità di un distacco presso una delle società consociate, in violazione degli articoli 2359, 2094 e 2497 c.c., nonché vizio di motivazione, la lavoratrice sostiene l'esistenza dei requisiti per poter ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro al gruppo di imprese di cui faceva parte la società datrice. Secondo la lavoratrice, la mancata rilevazione del dato non avrebbe condotto la Corte territoriale alle corrette deduzioni. Tuttavia i giudici di appello, come riportato anche dalla Cassazione, avevano espressamente stabilito che la presenza di un gruppo di società non costituisce di per sé una fattispecie rilevante dal punto di vista giuridico, ma esclusivamente da quello economico, a meno che non sia possibile dare prova dell'esistenza di un unico rapporto di lavoro in essere con le diverse società facenti parte del gruppo - eventualità peraltro non prospettata nel ricorso - e di relazioni tali da generare un esclusivo centro di imputazione dei rapporti giuridici.
Il ricorso prosegue con la denuncia di violazione dell'articolo 4 Legge 125/91 in combinato disposto con l'articolo 2697 c.c., con cui la lavoratrice lamenta la non considerazione, da parte della Corte territoriale, dei prospettati provvedimenti discriminatori, i quali non sono stati oggetto di espressa insussistenza da parte del datore di lavoro. La questione risulta implicitamente risolta dai rilievi effettuati in sede di appello che evidenziano l'effettivo trasferimento della società e dell'intero personale presso la sede di Peschiera Borromeo e riconosce la società di cui la ricorrente era dipendente, come unica titolare della posizione lavorativa cui la stessa era adibita. Ne consegue che un comportamento discriminatorio non è ravvisabile nel comportamento tenuto dalla parte datoriale durante la trattazione del provvedimento di trasferimento.
Infine, la ricorrente deduce, in violazione della Legge 604/66 in combinato disposto con agli articoli 1362 e 1371 c.c., un'evidente incongruenza del luogo indicato nell'atto di recesso (inizialmente indicato come Latina ed in seguito come Aprilia) e la violazione dell'accordo sindacale in virtù del quale la stessa ricorrente avrebbe dovuto continuare a godere della completa fruibilità dei diritti di cui all'articolo 33 Legge 104/92 e che la formulazione utilizzata nella comunicazione "...l'operazione in parola non ha sui lavoratori riflessi negativi di natura economica" non poteva essere interpretata come un modo per disattendere quanto sancito dall'accordo sindacale. Tuttavia poiché gli stessi non sono stati oggetto di specifica censura nella corrente sede di legittimità la Cassazione rigetta l'ultimo motivo presente nel ricorso.

 

 

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