LA DONNA CONSULENTE DEL LAVORO

Scritto da Super User.

Il primo pensiero che mi è passato per la mente, quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa in merito a quest'argomento, è: come nella maggior parte dei casi il rapporto tra l'essere donna e l'essere consulente del lavoro NON si concilia. Riflettendoci bene ho capito, che in questo modo, avrei fatto prevalere in me la parte critica, quella caratteristica tutta femminile che ci porta a cercare il cosiddetto pelo nell'uovo e che, forse, rappresenta anche un nostro punto di forza. L'essere precise, sempre attente ai minimi particolari, fino ad essere considerate quasi maniacali.
Lungi da me il voler esprimere il pensiero di tutte le colleghe donne, posso solo riportare le mie riflessioni al riguardo ed esprimere il mio punto di vista. L'emancipazione femminile e l'evolversi della società hanno portato modifiche tali, nel mondo professionale, da non riscontrarsi più quella differenziazione di genere così preminente come accadeva nei decenni passati. Spesso, in modo inconsapevole e contraddittorio, si assume la diversità di genere come un dato naturale, ma così non è e non deve essere quando si parla di capacità professionali. Rispetto ad un lavoro dipendente, sicuramente, la scelta per una donna di seguire un percorso professionale la porta a vivere un orizzonte d'incertezza e rischi, l'acquisizione, la fidelizzazione dei clienti, richiedono una presenza costante e combattiva. La libera professione valorizza sicuramente, però, le capacità individuali e garantisce autonomia decisionale, una libertà di scelta ed una seppur minima flessibilità di tempi, anche se i ritmi lavorativi sono dettati purtroppo più dai clienti, dalle leggi, dagli adempimenti e non dalle scelte personali.
Ovviamente non è sempre tutto rose e fiori: i problemi ancora esistono, a partire dalla non sempre facile capacità di far coincidere i tempi personali con il lavoro. Le donne consulenti del lavoro sono anche madri e mogli, si trovano a vivere il quotidiano come una sfida, un sacrificio per conciliare i tempi domestici con quelli lavorativi, magari ridimensionando le responsabilità nel lavoro. La maternità, più di tutto nella donna professionista, arriva dopo il successo lavorativo, dopo aver dimostrato di valere qualcosa. Tanto non è richiesto alla figura maschile per ovvi retaggi del passato. Ho sentito raccontare, da colleghe, di strani sguardi preoccupati, da parte dei clienti, alla notizia della gravidanza della consulente del lavoro, come se tale evento potesse in qualche modo togliere capacità intellettuali nella donna, rendendola una semplice fattrice!
2 02Tutto ciò non impedisce certamente alla donna, consulente del lavoro, di riuscire in entrambi i campi, dando il massimo o, per lo meno, tentando di dare il massimo in tutte le situazioni.
Altro nodo fondamentale nella vita della donna professionista, specificatamente in questo caso della donna consulente del lavoro, è, ovviamente, il rapporto con i colleghi che, al giorno d'oggi, non si può assolutamente considerare come scontro o come discriminante, anzi al contrario, di piena collaborazione e paritario. Mentre nel rapporto con la clientela si possono ravvisare, in alcuni casi, ancora delle iniziali perplessità, specialmente da parte di coloro che svolgono attività lavorative che meno sembrano poter essere gestite da figure femminili, perché ritenute troppo "deboli" o sensibili. Capita, magari, che un cliente, guardi alla professionista con atteggiamento dubbioso, ancor di più in caso di una giovane professionista, la domanda che probabilmente si fa è: "Sarà capace? Non era meglio un uomo in tale situazione?". Scontri sindacali, azioni di protesta del personale, problematiche di scioperi, scontri per i diritti lavorativi, sembrano più adatti ad una realtà maschile, ma non è così. Probabilmente la donna, essendo più capace nell'arte della mediazione, riesce a trovare quel giusto equilibrio tra le richieste e questo, forse, perché ogni giorno media tra la propria vita ed il proprio lavoro. E' in queste occasioni, quando si dimostra che non era necessaria la presenza di un uomo per risolvere un problema, ma solo la presenza di un professionista, che emerge una componente di significativa soddisfazione per il proprio lavoro.
Nella nostra professione, forse più che in ogni altra categoria professionale, il ruolo femminile è divenuto sempre più importante e consistente. Alla nascita del nostro ordinamento professionale le donne che sceglievano questo tipo di professione non erano sicuramente molte, anche se, pioniere di questa professione, ne ritroviamo già nei primi decenni del 1900, sotto altra forma, ma erano in ogni caso donne che si occupavano di lavoro e di diritto del lavoro. Oggi il ruolo della donna consulente del lavoro è sicuramente più forte: siamo diventate un numero sempre maggiore di professioniste preparate ed attente. La massima espressione, di questa nostra forza e capacità, è sicuramente splendidamente rappresentata dalla nostra Presidente Nazionale Marina Calderone, che è riuscita a dimostrare quanto il ruolo di professionista, attiva anche nel panorama della politica interna alla categoria, e non solo, possa coincidere con l'essere anche e soprattutto donna. Le quote rosa all'interno della categoria dei Consulenti del lavoro, sono sicuramente rispettate infatti, oltre ad essere molte le donne iscritte all'Ordine Professionale, quelle che ricoprono ruoli centrali, seppur con un rapporto ancora numericamente inferiore agli uomini, sono in continuo aumento. Le figure di presidenti di consigli Provinciali, segretari, tesorieri e consiglieri sono sensibilmente cresciute negli anni. Per fare un po' di statistica, vorrei citare una ricerca svolta per il Congresso straordinario Consulenti del Lavoro che riporta questi risultati: "Il numero delle donne iscritte è sempre più alto, tanto da aver raggiunto, in percentuale, il 46% sul totale di 28.000 iscritti. Di queste, il 41% ha meno di 41 anni e il restante 59% appartiene alla fascia d'età superiore a 41 anni. La maggior parte delle consulenti del lavoro sono professioniste coniugate (65%) con figli in fascia d'età superiore agli 11 anni (53%). Per il 90% sono libere professioniste, diplomate (70%), con un proprio studio che le impegna per oltre 40 ore settimanali.". Nel 2012 il Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro, attraverso la Commissione nazionale Pari Opportunità, ha realizzato un'indagine su come viene vissuta la professione dalle donne, uno dei risultati più importanti è quello che riguarda l'emancipazione femminile, l'evolversi del ruolo sociale che ha portato un abbassamento della difficoltà nell'occupare ruoli dirigenziali all'interno della categoria, infatti solo il 39% delle intervistate riscontra tale problematica. L'applicazione numerica delle quote rosa rimane, comunque, più un atto di natura politica "pubblicitaria", che di vera utilità reale. Non serve il misurino del farmacista, tante donne tanti uomini, per dimostrare la parità professionale; il successo nel lavoro, ed il rispetto, si ottengono esclusivamente grazie alla proprie capacità, alla propria determinazione, sono il prodotto di competenza, forza di volontà, flessibilità, ambizione, coraggio, formazione specialistica, gestione delle relazioni e capacità organizzativa.
Figlie, madri, mogli, professioniste, siamo comunque e sempre fiere del nostro essere donne, ma nel campo lavorativo non vi può essere distinzione tra un consulente del lavoro donna ed un consulente del lavoro uomo, siamo tutti professionisti; chi è preparato avrà modo di emergere indipendentemente dal cromosoma XX o XY presente nel suo DNA.

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