VIDEOSORVEGLIANZA E SISTEMI DI CONTROLLO: LO STATO DELL'ARTE

Scritto da Michele Siliato.

02Dopo 45 anni, si riscrive la norma sui controlli indiretti dei dipendenti
Nell'ambito delle disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese, di cui alla Legge Delega n. 183/2014, il legislatore riscrive uno dei punti più dibattuti del diritto del lavoro.
L'articolo 23, comma 1, del Decreto Legislativo n. 151/2015, riformula la disciplina prevista dall'art. 4 della Legge 20 maggio 1970, n. 300.
Precedentemente, l'utilizzo di strumenti ed apparecchiature di controllo era espressamente vietato, salvo i casi in cui vi erano esigenze oggettive e di sicurezza del lavoro, previo accordo con i rappresentanti sindacali aziendali, o in mancanza, con l'autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente.
L'evoluzione tecnologica all'interno del mondo del lavoro ha imposto al legislatore di aggiornare la disciplina normativa, anche in considerazione delle nuove e complesse esigenze organizzative delle imprese.

La nuova formulazione dell'art. 4
La nuova formulazione dell'articolo 4, consente l'installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti, dai quali possa derivare anche il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, esclusivamente per esigenze organizzative, produttive, per la sicurezza sul lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo sindacale con la rappresentanza sindacale unitaria o le rappresentanze sindacali aziendali.
Qualora l'impresa abbia unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione, ovvero in più regioni, l'accordo potrà essere stipulato con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In mancanza di accordo, gli impianti, potranno essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro o, in alternativa, qualora l'azienda abbia unità produttive dislocate negli ambiti di più sedi territoriali, dalla sede centrale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Considerata l'espressione letterale della norma, non può ritenersi esclusa la violazione nei casi di installazione di apparecchiature non ancora funzionati, o dal controllo discontinuo, ovvero qualora le medesime apparecchiature siano "finte" e, pertanto, montate esclusivamente a scopo dissuasivo. Come precisato dalla risposta del Ministero del Lavoro alla nota prot. 2302 del 22/02/2016, la condotta criminosa è rappresentata dalla mera installazione non autorizzata dell'impianto, a prescindere dal suo effettivo utilizzo.

La tutela del patrimonio aziendale
Particolarmente rilevante è l'innovazione normativa circa la possibilità di installare impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori, per ragioni inerenti la tutela del patrimonio aziendale. In tal senso, la giurisprudenza ha, ormai da diverso tempo, distinto i c.d. controlli preterintenzionali da quelli difensivi, ovvero quelli in cui il datore di lavoro ha la necessità di prevenire o accertare le eventuali condotte illecite, anche dei propri dipendenti. Le immagini o altre rilevazioni strumentali raccolte, nell'ambito del processo penale, potevano essere utilizzate come strumento di prova documentale anche nel caso in cui l'impianto fosse stato installato in violazione delle disposizioni previste dall'art. 4, comma 2, (c.d. controlli difensivi occulti), in virtù della prevalente esigenza di ordine pubblico relativa alla prevenzione dei reati rispetto al diritto alla riservatezza dei lavoratori.
Non ultima, la sentenza della Suprema Corte n. 10636 del 2 maggio 2017, interviene sul tema del licenziamento per giusta causa di un lavoratore ripreso dalla telecamera a commettere un furto in azienda. L'adozione di strumenti di controllo a carattere difensivo non necessitano tout court del preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, né dell'autorizzazione amministrativa, in quanto volti a prevenire condotte illecite, suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza del patrimonio aziendale, senza che ciò comporti il sostanziale annullamento delle garanzie di riservatezza e dignità del lavoratore, evitando dunque, che il c.d. controllo occulto possa essere ammesso per rilevare meri inadempimenti della prestazione lavorativa. Nel caso di specie, l'attività di controllo, non avente ad oggetto il corretto adempimento della prestazione lavorativa, era stata attuata con "modalità non eccessivamente invasive", venendo, pertanto, posta al di fuori dell'alveo di cui all'art. 4, Legge 20 maggio 1970, confermando la liceità dell'installazione dell'impianto finalizzato alla prevenzione e all'accertamento di comportamenti illeciti o potenzialmente lesivi del patrimonio aziendale, anche in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali.
La tutela del patrimonio aziendale è stata espressamente codificata dall'art. 23, comma 1, Decreto Legislativo n. 151/2015. Se in precedenza non si era mai dubitato dei c.d. controlli difensivi occulti, la rivisitazione dell'art. 4, subordina la legittimazione dell'impianto per la tutela del patrimonio aziendale all'accordo sindacale ovvero all'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro competente, ampliando fattivamente le garanzie poste a tutela dei lavoratori, rendendo penalmente illecita l'installazione non autorizzata.


Gli strumenti non soggetti alla disciplina
Quanto sin ora discusso non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa ed agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. La rivelazione dei dati di entrata e di uscita dei lavoratori non concretizza necessariamente la fattispecie del controllo a distanza. Tuttavia, qualora tale rilevazione fosse utile a verificare il rispetto dell'orario di lavoro e la correttezza nello svolgimento della prestazione lavorativa, verrebbero ad integrarsi possibili violazioni dell'art. 4, comma 1.
Il Ministero del Lavoro ha precisato che non possono essere considerati "strumenti di controllo a distanza", gli strumenti assegnati al lavoratore per svolgere la prestazione lavorativa, come tablet, pc e cellulari. Diversamente da questi ultimi, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che i sistemi di localizzazione satellitare debbano inquadrarsi tra gli elementi aggiuntivi rispetto agli strumenti indispensabili per rendere la prestazione lavorativa, in quanto ricoprono ulteriori esigenze di carattere produttivo, organizzativo e di sicurezza sul lavoro, e non già rispetto all'esecuzione dell'oggetto contrattuale. L'utilizzo del GPS non rientra nelle previsioni di cui all'art. 4 qualora sia espressamente richiesto da disposizioni di legge o di regolamenti (v. i casi di portavalori con trasporto superiore a €. 1.500.000,00).

La disciplina privacy
Le informazioni raccolte dalle suddette strumentazioni sono utilizzabili ai fini del rapporto di lavoro a condizione che sia data adeguata informazione al lavoratore sulle modalità d'uso e di effettuazione dei controlli, nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giungo 2003, n. 196, consistente nell'obbligo del datore di lavoro, di informare i lavoratori sulla modalità e delle condizioni di utilizzo dei dati, nonché l'informativa relativa ai controlli che si intende effettuare e le eventuali conseguenze sotto il profilo disciplinare.
La normativa sulla privacy e la tutela del lavoratore si intersecano nella modifica introdotta dall'art. 23, comma 2, del Decreto Legislativo n. 151/2015, prevedendo all'art. 171 del Decreto Legislativo n. 196/2003, la tutela penale prevista dall'art. 38 della Legge n. 300, del 20 maggio 1970, nei casi di violazioni del discusso art. 4, commi 1 e 2. L'espresso consenso eventualmente prestato da tutti i lavoratori in difetto di accordo sindacale, ovvero di autorizzazione degli organi competenti, non costituisce condizione di liceità. In tal senso la Cassazione Penale, con la sentenza n. 22148, si è espressa richiamando il concetto del bene giuridico protetto dalla norma penale, ritenendo che il consenso, in qualsiasi forma prestato, non valga a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato gli impianti in violazione delle prescrizioni di legge. Il Collegio chiarisce come, la norma penale, tuteli gli interessi di carattere collettivo e superindividuale. La condotta datoriale, in caso di mancata interlocuzione con le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali, produce una oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze stesse sono portatrici, in quanto deputate a riscontrare, se gli impianti audiovisivi siano, o meno, lesivi della dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza.
Ad ogni buon fine, tale informativa, resa in forma scritta e controfirmata dal dipendente per ricevuta, dovrà contenere:

  • le modalità di utilizzo degli strumenti;
  • le modalità di effettuazione dei controlli;
  • i soggetti che possano venire a conoscenza dei dati ed il loro ambito di diffusione;
  • gli estremi identificativi del responsabile del trattamento;
  • le modalità e le possibilità di accesso ai dati.

A partire dal prossimo 25 maggio 2018 sarà necessario aggiornare tutti gli adempimenti relativi alla Privacy secondo le disposizioni del nuovo Regolamento UE 2016/679 e delle eventuali successive determinazioni da parte del Garante e degli altri istituti vigilanti in materia di lavoro.

Installazione illecita, quali conseguenze?
Qualora, nel corso dell'attività ispettiva, vengano riscontrate violazioni in ordine all'installazione degli impianti soggetti alla disciplina trattata, verrà impartita una prescrizione, ai sensi dell'art. 20, del Decreto Legislativo n. 758/1994, al fine di cessare immediatamente la condotta illecita con contestuale rimozione dell'impianto. Nel verbale di prescrizione, l'organo di vigilanza fisserà un termine "congruo" per consentire al personale specializzato la rimozione delle apparecchiature.
Qualora nel frattempo l'azienda provveda a siglare l'accordo sindacale, ovvero a richiedere il rilascio dell'autorizzazione ministeriale competente, facendo venire meno i presupposti oggettivi dell'illecito, l'organo di vigilanza potrà ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quanto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 21, D. Lgs. 758/1994).

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