REPECHAGE PIU' RIGOROSO ALLA LUCE DEL NUOVO ART. 2103 C.C.

Scritto da Matteo Atzori.

03 01Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 3370 del 16 dicembre 2016, ha sposato la tesi, da molti sostenuta, che il c.d. "repechage" in fase di licenziamento, consistente in un vero e proprio obbligo in capo al datore di lavoro di verifica delle mansioni e posizioni alternative ove poter ricollocare il lavoratore oggetto del licenziamento, debba ora operarsi nei nuovi limiti espressamente previsti dall'art. 2103 c.c., così come modificato dall'art. 3 del D. Lgs. 81/2015.

Volendo dare una definizione del repechage possiamo affermare che, affinché un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo sia legittimo, ovvero che il riassetto organizzativo dell'azienda sia effettivo e non pretestuoso, ovvero un'operazione posta in essere con il solo fine di aggirare la normativa sui licenziamenti individuali e liberarsi di personale non gradito, il datore di lavoro deve comunque dare prova di aver verificato, all'interno dell'intera struttura aziendale, di non essere in grado di riassorbire (o meglio, ripescare) il lavoratore che si appresta a licenziare.

Ampia e consolidata giurisprudenza conferma che il licenziamento è valido solo se il lavoratore non può essere impiegato in altro modo o settore, con relativo onore della prova a carico del datore di lavoro, tenendo anche conto della possibilità di un demansionamento. Rappresentando quest'ultimo, un caso limite ammissibile solo ed esclusivamente se il demansionamento rappresenta l'unico modo attraverso il quale il lavoratore possa mantenere il posto di lavoro.

Prima dell'entrata in vigore del D. Lgs. 81/2015, l'art. 2103 c.c. prevedeva che il prestatore di lavoro dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito "ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte", delimitando l'obbligo di "repechage" nel caso di soppressione del posto di lavoro alle sole "mansioni equivalenti". Si ricorda che, prima della riforma, ai sensi dell'art. 2103 c. c., era vigente il principio della immodificabilità in peggio della mansione nonché della irriducibilità della retribuzione. Per espressa previsione di legge, ogni patto contrario era nullo.

Il rinnovellato art. 2103 c.c. ha superato il concetto di mansioni equivalenti, sostituendolo con "mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte".
E' stato, dunque, eliminato il riferimento alle mansioni c.d. equivalenti. Con tale eliminazione, si riconosce al datore di lavoro il diritto ad uno ius variandi (unilaterale) più ampio e più flessibile in quanto si supera la precedente tematica, di elaborazione giurisprudenziale, relativa alle "mansioni equivalenti". Nella vigenza della precedente norma, infatti, in caso di contestazione da parte del lavoratore, il Giudice, per accertare la legittimità della modifica unilaterale (da parte del datore di lavoro), non si limitava a verificare l'eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni al medesimo livello di inquadramento contrattuale, quanto piuttosto l'equivalenza professionale.
Pertanto con il rinnovellato art. 2013 c.c., il datore di lavoro potrà assegnare unilateralmente il dipendente a qualsiasi mansione purché riconducibile allo stesso livello e categoria di inquadramento di quelle ultime effettivamente svolte, avuto (solo) riguardo alle declaratorie ed ai profili professionali del contratto collettivo.
In caso di "modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore", il datore di lavoro può assegnare a quest'ultimo mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il datore di lavoro può, quindi, decidere di modificare la propria attività produttiva e/o la propria organizzazione del lavoro e, conseguentemente, attribuire al lavoratore mansioni appartenenti ad un livello contrattuale più basso purché rientranti nella medesima categoria di inquadramento legale.
L'obbligo di repechage, cui è soggetto il datore di lavoro che intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, risulterebbe, pertanto, più rigoroso dopo le modifiche alla disciplina dell'art. 2103 c.c., in quanto se da un lato, il datore di lavoro, come ampiamente visto sopra, è maggiormente agevolato nell'esercizio dello "ius variandi", ovvero il potere di variare unilateralmente le mansioni rispetto a quelle assegnate in fase di assunzione, ha dall'altro, parallelamente, ampliato e complicato notevolmente la verifica del "repechage", obbligando il datore di lavoro a dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore a tutte le mansioni riconducibili nello stesso livello e categoria legale di inquadramento.
Il Tribunale nel riprendere questa tesi, ha sottolineato che questa disciplina, assorbita nel novellato art. 2103 c.c., se rende più flessibile l'organizzazione del lavoro a beneficio dell'impresa, comporta altresì un aggravamento dell'onere della prova per il datore di lavoro che intenda licenziare un suo dipendente in presenza di una riorganizzazione aziendale frutto di una conclamata crisi finanziaria. Alla luce del nuovo disposto normativo, l'indagine sull'esistenza di posizioni alternative in cui ricollocare il lavoratore di cui sia stata soppressa la mansione, deve comprendere tutte le attività disponibili in azienda, che appartengono allo stesso livello di inquadramento del lavoratore interessato.
La sentenza del Tribunale di Milano da un importante contributo all'interpretazione ed applicazione del nuovo art. 2103 c.c., soprattutto con riferimento allo ius variandi del datore di lavoro, in quanto, come detto, introduce vincoli più stringenti in fase di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il Tribunale ha affermato che, nel verificare la possibilità di adibire il lavoratore (ritenuto) eccedentario ad altre mansioni nell'ambito dell'organizzazione aziendale, il datore non può limitarsi alle mansioni professionali equivalenti ma deve necessariamente contemplare ogni mansione riconducibile allo stesso livello e categoria legale di inquadramento.

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